Antonio Manzo
il Mattino, 13 agosto 2009
«A Vallo no, perché là mi uccidono»: Licia Musto Materazzi è l’ultima persona che ha udito le parole di un uomo che sarebbe entrato vivo all’ospedale di Vallo della Lucania e ne sarebbe uscito morto. Si chiamava Franco Mastrogiovanni “noto anarchico” per le carte della giustizia, “ottimo maestro” per i suoi alunni e per i dirigenti della scuole dove ha insegnato.
E pensare che per quell’uomo, la cui vita cambiò in un pomeriggio di luglio trentasette anni, su via Velia a Salerno, nei tragici attimi dell’omicidio di Carlo Falvella, ora piangono davvero tutti. I suoi alunni di Pollica, la titolare del campeggio che lo ha avuto ospite per circa un mese «e senza dare alcun fastido, perfino accudendo i bambini di mia sorella», i familiari, naturalmente, che chiedono «verità e giustizia» secondo un canovaccio apparentemente rituale ma stavolta tragicamente pesante per tutte le coscienze. Perchè sia stato firmato, venerdì 31 luglio scorso, un trattamento sanitario obbligatorio per Franco Mastrogiovanni, nessuno lo sa. Franco non era un assassino. Fu arrestato nel ’99, processato per oltraggio a pubblico ufficiale, mesi in galera, poi assolto e perfino risarcito per ingiusta detenzione. Perchè doveva finire in un reparto di psichiatria? Dovrà accertarlo uno scrupoloso pm, Francesco Rotondo. Il motivo? «La notte precedente – dice Licia Musto Materazzi – avrebbe tamponato quattro autovetture». L’auto di Franco è parcheggiata sotto la sua abitazione di Castelnuovo Cilento, senza alcun danno. Venerdì scorso, intorno alle sette, forze dell’ordine circondano il bungalow del campeggio dove Franco sta riposando. Capisce che lo vogliono fermare. Scappa sul lido, prende un caffè e fuma una sigaretta. Ma per lui è il giorno del destino mortale: a mare vedette della guardia costiera, a terra carabinieri e polizia municipale di Pollica. Franco è un uomo braccato, c’è uno spiegamento di forze che neppure per un latitante della camorra (e nel Cilento di questi tempi ce ne sono) sarebbe stato messo in campo. Ma lui «deve» essere trasferito in un reparto psichiatrico. È pericoloso. Cosa ha compiuto di tanto irreparabile, sconvolgente? Per lui ci sono le aggravanti: «noto anarchico», personaggio «pericoloso socialmente, intollerante ai carabinieri», ribelle alla regola. I ragazzi di Franco a scuola lo consideravano un maestro. Non un pazzo da legare da far morire su un letto di contenzione, mani e piedi legati per quattro giorni da fili di ferro, nella disumanità di un reparto-lager di un ospedale pubblico che ora nessun consigliere o assessore regionale si preoccupa di far mettere sotto inchiesta amministrativa. «Hanno ucciso un uomo in un letto di contenzione» dice il pm nel suo atto di accusa. Certo, tutto da provare. Non c’è dubbio. Ma Franco è morto, e fatto ancor più grave senza conoscere ancora il motivo per il quale sia stato trascinato sulla strada della morte. Verso Vallo, dove ora potrà avere almeno giustizia.
Lascia un commento